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Un Paradiso tra due colline

 

Oggi abito in prossimità del centro, con la mia famiglia mi sono spesso recato, in questi anni, in vari parchi pubblici. Varese ne possiede davvero di spettacolari: uno incastonato su una collinetta, proprio nel centro della città giardino, altri grandi e piccoli si trovano nell’immediata periferia (le loro immagini sono state pubblicate su questo sito). Mi è capitato anche di vedere scoiattoli correre freneticamente tra un albero e l’altro o sui tappeti verdi tagliati di fresco. Qualche piccolo stagno artificiale ospita papere e cigni che incantano grandi e piccini. Se ascoltiamo con attenzione, oltre al rumore del traffico, in sottofondo potremo sentire qualche picchio martellare i tronchi delle piante.

 

Ho indicato spesso queste piccole meraviglie alla mia bimba, che osservava e ascoltava incantata, spero di averle trasferito la mia passione per natura e ambiente.

 

Mi sono chiesto qualche volta chi abbia fatto lo stesso con me, bimbo, e quale sia stato il parco che ha visto muovere i miei primi passi sui sentieri della natura.

 

Una parte della risposta forse è già scritta tra le righe del racconto “Attento che morde” ambientato nel bosco vicino all’orto dei miei genitori. Mi sono reso conto, però, che non può essere un episodio a svelare l’arcano. Ho vissuto gli anni della mia infanzia e adolescenza in un piccolo borgo che doveva essere un ospedale lazzaretto nei tempi antichi, circondato da colline coperte di boschi, in parte coltivate ma spesso lasciate a prato.

 

Eccolo il mio parco giochi: sentieri celati dalla macchia, fontane, sorgenti e fontanili spesso marciscenti che evocavano presenze inquietanti in noi piccoli esploratori. Non mancavano grotte, falesie, ruscelli, pareti di arenaria e qualche piccolo stagno. Il nostro nemico di allora era il rovo che si frapponeva tra noi e i sentieri, aperti spesso con fatica.

 

Con una piccola orda di coetanei ho avuto la fortuna di godere di uno spazio infinito: una valle profondamente scavata tra due colline moreniche, praticamente selvaggia, con pochi rimasugli della coltivazione intensiva che l’aveva modellata negli anni, un mulino alimentato da un torrente che, purtroppo, in corrispondenza del boom economico degli anni ’60 si è trasformato in una fognatura a cielo aperto, una cascina abitata da un fattore che tollerava la nostra petulante presenza, ma i cui cani erano meno disponibili.

 

Non mancava la possibilità di “fare merenda” a discapito delle piante da frutto dei vicini, che non sempre apprezzavano. Mi sono chiesto spesso perché eravamo cosi attirati dalle altrui ciliegie, quando sulle nostre piante erano i passeri a fare incetta.

Avevamo a disposizione anche un luogo incantato: una piantagione di lamponi. Erano così tanti che il legittimo proprietario, probabilmente, pur sapendo delle nostre incursioni ha sempre lasciato correre.

 

 

Nonostante qualche stoppia bruciata, per emulare i grandi che con questo sistema risanavano i prati non falciati, abbiamo sempre considerato gli abitanti di questi luoghi come i nostri compagni di giochi. Non si contavano i nidi scoperti che, anche per la loro posizione, venivano sempre rispettati. L’incontro con i ricci non era raro, forse perchè la nostra chiassosa presenza non poteva che disturbarli, costringendoli a spostamenti anche in ore diurne poco consone alle loro abitudini.

L’abbondanza d’acqua si concretizzava in fontane e piccoli invasi lungo le pendici delle colline, tutti assolutamente puliti, che per noi in primavera diventavano l’occasione per giocare (e qualche volta infastidire) con rane e rospi. Nelle settimane successive il gioco si tramutava in una infinita curiosità: dalle uova ai girini, per poi vedere questi strani esseri dalla testa enorme trasformarsi in rane in miniatura, che si nascondevano nell’erba umida.

Non mancavano le bisce, anche se non ho mai visto vipere o serpi velenose ma solo lunghissime natrici in cerca di topi, sempre presenti in queste zone.

Durante alcuni periodi l’obbiettivo delle nostre scorribande erano i fagiani. Questi variopinti  volatili (solo i maschi) nel periodo della riproduzione, all’inizio della primavera, presentano un comportamento singolare: infatti non fuggono anche se avvicinati dall’uomo. Mi è capitato più volte di vederli scorazzare sui prati, ancora provati dal freddo invernale, intenti nel corteggiare le femmine che si mimetizzano al punto da essere quasi invisibili.

 

I nostri sentieri erano quasi sempre ben nascosti da sterpi o alberi, soprattutto nei boschi, ma così tanto battuti da sembrare piccole strade che solo noi conoscevamo. Ci consentivano di percorrere tutto il nostro piccolo regno in men che non si dica e di difenderlo dalle invasioni di nemici immaginari: spesso i nostri genitori che coltivavano gli orti, ma anche i vicini di casa che detestavano noi e i nostri giochi.

 

Sepolti sotto un strato di sabbia e foglie mi è capitato di ritrovare alcuni bossoli di fucile. Ricordo gli ammonimenti di mio padre che mi ha sempre diffidato dal raccoglierli. Si trattava probabilmente di munizione finite in quel luogo durante la Seconda Guerra Mondiale e lì dimenticate da uomini in armi dell’una o dell’altra parte, che a me hanno sempre fatto un po’ paura.

 

Nelle giornate umide in tarda primavera, soprattutto  nel mese di aprile, spesso molto piovoso dalle nostre parti, non era raro incontrare le salamandre, simili, per noi ragazzi, a lucertoloni goffi e lenti, dal colore nero con vivissime macchie gialle. Ho sempre evitato di toccarle, forse colore ed aspetto poco invitanti hanno fatto la loro parte.

 

Non poteva mancare il campetto di calcio, ricavato tagliando le sterpaglie per liberare il terreno di gioco e abbattendo alcune piante per costruire le porte. Anche la capanna era d’obbligo, anche se non so quanto possano essere stai contenti i muratori di un vicino cantiere nel vedere scomparire qualche lamiera e alcune assi. Forse è stata la nostra vendetta per aver profanato un paradiso che non volevamo condividere.

 

La presenza di cantieri si è poi ripetuta nel tempo, la nostra età e i nostri interessi sono cambiati, anche il paradiso si è trasformato, le case hanno celato la sommità di alcune colline, fortunatamente però il maleodorante ruscello è stato incanalato in una lunga tubazione e inviato ad una depuratore. Tutta la nostra valle sicuramente ne ha tratto grande vantaggio.

 

Qualche mese fa, durante un pomeriggio estivo, non ancora soffocante di caldo e umidità, sono tornato in quei luoghi con Alice ormai grande. La mia voglia di rivedere quei luoghi è stata fermata da cancelli e reti metalliche che da tempo hanno catturato il mio paradiso e che impediscono al mondo di goderne. Non ho nascosto un po’ di disappunto per quella barriera che, se pur facilmente e abusivamente superabile, mi ha impedito di mostrare a mia figlia un luogo singolare e magico.

Mi piace pensare possa ancora essere il paradiso di qualcuno, magari prossimamente proverò a suonare il campanello, chissà che non mi apra qualcuno dei miei compagni di giochi che ancora oggi custodisce il segreto di questi luoghi..

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
   
 
 
 
   
 
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
     
 

Pino Farè fare.pino@alice.it